Luca D. Majer
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"L'idea parte prima dello strumento"
Pat Metheny

 

Pat, 1970

 

Musée de l'Automate, Soulliac (F)

 

Jaco e Pat

 

Orchestrion (© Luc Bourgeois)

 

PMG

 

PM Unity Band

 

 

Un'analisi della musica di Pat Metheny, passando dal concerto allo Zircon (Boston) del 1974 per arrivare ad oggi, via l'assai "bizzarro" esperimento dell'Orchestrion. 

Ecco alcuni frammenti dell'articolo:

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A dodici anni Pat ricevette in regalo dai genitori una Gibson ES140 3/4. Aveva già visto per una dozzina di volte A Hard Day's Night dei Beatles e la chitarra era lo strumento perfetto per ribellarsi ai genitori. Genitori che avevano la musica nelle vene, ma dalla parte degli strumenti a fiato. Gliel'avevano comunque promessa - la chitarra - se avesse fatto bene a scuola. E a lui non sbatteva niente d'andare (eventualmente: bene) a scuola, ma della chitarra invece molto. Erano gli anni quando il testosterone incomincia a battere in testa e qualsiasi cosa provenga da mom & pop risulta fastidioso non solo in sé, ma anche per via della fonte. Fu per la Gibson che fece bene a scuola - ma meglio ancora fece nel doposcuola musicale.

Poco dopo la chitarra, il fratello Mike (oggi trombettista stimato e attivo nella Metheny Music Foundation - che elargisce borse di studio a giovani promettenti) portò a casa Four and More, Miles Davis Live e da lì nessun Cristo tenne più: "Fu l'inizio della fine, o l'inizio dell'inizio... dopo che la puntina ebbe toccato quel vinile per cinque secondi, la mia vita divenne un'altra ". 

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La cosa che più riconosco a PM è la dedizione quasi mistica che ha messo nella sua vita di musicista. Dopo "la mazza da baseball sferratagli in testa" dal Miles Live, per Pat arrivarono i dischi di Wes Montgomery e vuole la leggenda che Pat ne ascoltasse uno, lo memorizzasse e lo impilasse a destra. E poi via con un altro della pila di sinistra, finché la pila di dischi memorizzati era alta e quella da memorizzare non più là. Fu così che un pischello di quindici anni iniziò a suonare con i migliori jazzisti di Kansas City e la gente iniziò ad andare ad ascoltare "il ragazzino che suona come Wes" e anche i genitori incominciarono a vedere soldi rientrare - decidendo che forse non era tutta fuffa e che.. sì. Ma Pat: no. Lui era partito per la musica big time.

Quella musica la possiamo chiamare forse jazz, ma forse era come quella roba che sentiva Pocahontas per il capitano John Smith: un amore indelebile, eterno per l'arte più intoccabile che ci sia. Fu così che, ancora teenager, se si trovava in jam a suonare uno standard che non conosceva, o in una tonalità nella quale non si trovava a suo agio, Pat tornava a casa e s'allenava la notte: perchè voleva non trovarsi mai più in quella situazione, il giorno dopo. C'era la scuola - ma passava notti insonni.

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Nell'80 gli fa un giornalista: "Ti riposi mai?" e lui "No, mai, davvero". In un'intervista dell'85 sta guidando sull'autostrada e confessa all'intervistatore che quello è il suo habitat: "abbiamo percorso 160.000 chilometri l'anno scorso col nostro pullmino" dice e "quando mi trovo tra un tour e l'altro, non vedo l'ora di ritornare a suonare per potermi riposare un po'". E ricorda come non abbia mai preso una vacanza da quando aveva diciott'anni "e adesso ne ho trenta" annota. Poi nel 2004 coglie l'occasione di un'altra intervista per tirare conti provvisori: 7500 concerti. In media 30 anni x 250 gigs all'anno.

Davanti a questo tipo di passione, non stupisce che letteralmente Pat si sia fatto da solo. Si tratterà forse anche della solita questione di cercare successo e danaro. Ma non solo. Perchè PM quelli li aveva raggiunti presto eppure decise comunque di "tirare innanzi", d'andare in drive, di mettere la sesta per qualcosa come... Per 45 anni di fila. E stiamo ancora contando, perchè - a 60 anni compiuti quest'anno - per ora è in tournée con 37 concerti in due mesi, sparpagliati su 6 nazioni tra Asia e Nord America.

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Pubblicato sul numero di dicembre 2014 di BUM