Luca D. Majer
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Una recensione del disco Suicide (Ze Records), uscita nel periodo più intenso di una band che festeggiò nel 2015 quarantacinque anni di esistenza.

La loro longevità aveva un segreto semplice: "Non ci siamo mai divisi, questo probabilmente ci ha aiutato a stare insieme", diceva il compianto Alan Vega.

Martin Rev, Hurrah's - New York, NY - 1980

 

 

Morte, ups and downs, noia. Percussioni sintetiche, nastri, sintetizzatori, voci filtrate. Nel ’77 sconvolgevano, con un qualcosa di mono/tono e poco rassicurante. Suicide, sangue raggrumato. Che e Stella Rossa. E Rev da solo, nel ’79, dava sfogo a certe manie tipo scorribande cosmiche, molto teutonico, overdubs dei più ingenui. Non molto speciale.

Adesso, invece, si torna in due, suicidio; e per la Ze, quella patria della disco col talidomide. E il clima si sottomette all’atmosfera. Due Rev/Vega spensierati, quasi canzonettaria tratti (Sweetheart), ironici nei momenti più ambigui; grandi omaggi alla love song, al rocchenroll, a certa pseudo paranoia urbana. La batteria elettronica sproloquia. Alan è un Foxx sotto zero, gli oscillatori come percussioni, qualche buon vecchio rumore, svisate rickwakemaniane perfino. Harlem e Mr. Ray (Hey Man? How’re ya doin?) sono cattive proprio, con questa ripetitività semifredda che piace molto di ‘sti tempi, cocainomane. Mentre Be Bop Kid eguaglia rock a Bird, con gran disdoro del pubblico polilliante nei concerti jazz. E Dance sfoga ogni ardore con un ritmetto da Casadei ferale, un dark Funky mai azzardato.

Val la pena ascoltarli, perchè di bui come loro ce n’è pochi, anche se i patiti di Rocket USA avranno forse da ridire sull’arrotondamento di certi estremismi, quegli ad lib monocordi tanto gioventù bruciata affogati oggi in sambe e transistors (Shadazz); molto poco casuali, più Ze-lanti verso quel suono acquisito che è l’elect-rock. Il ritmo ultimamente giudicato estremamente camp un po’ ovunque, salva alla fine intransigenti e non; le vecchie catene sono, come quelle del fantama di Canterville, arrugginite e un filo corrose, comode in ogni caso. Tirarle fuori quando più conviene.

(da Musica 80, agosto/settembre 1980)