Luca D. Majer
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Fred Frith
Dancing in the street (45 RPM)

Ralph Records

 

 

I più se lo ricordano col treccione di cavallo, a guidare con la sua chitarra, capace di ogni direzione (assolo distorto, chitarra preparata, accordini jazzy) quella manica di alternativi detti Henry Cow, quand'era il tempo dei concerti a prezzo politico, nell'era in mezzo a Stampa Alternativa e al manageriato contro-riformistico fine Settanta, dall'altra.

Poi, sbandato il gruppo, formula proposte alternative, il Nostro, e si imbarca in una serie di idee (Orkestra,  Art & Bears, solo performer) che lo tengono occupato fino a che (suppergiù è il '79) Frith sbarca nel Nuovo Continente. Cambia l'atmosfera, cambiano i colori.  Quelle atmosfere tetre tetre, quei colori così pesanti e calcati, quelle armonie mai assonanti si stingono in una sorta di riflusso, dove si recuperano accenti pop demenziali, vecchi timbri à la Henry Cow, joy de vivre

Questo quarantacinque (accoppiato all'album Gravity) è la prima ufficiale risposta americana di Frith, anche se per buona parte esecutori e studi di registrazione rimangono ancorati in Europa. America, insomma, è la pacchianeria della batteria tum-ta-ta-tumpf, del remake di un pezzo Motown: quel non-gusto per il paradosso del ritorno al rock quando - per primo - Frith gli si era scagliato contro.

La dissonanza si stempera nella rediviva genialità della canzone da cassetta, gli estremi coincidono: ed in mezzo a citazioni libere, che vanno dalla ricerca di timbri "inusuali" ai ricordi di certo rock progressivo. Il tutto molto ironico, com'è giusto. Se le canzoni in testa alle classifiche sono una continua citazione di archetipi musicali - più o meno mischiati tra loro - Dancing in the Street è il citarsi addosso del rock creativo; ed è il "ciccare" addosso alle varie hit-parades e relativi idoli di cartapesta.

 

 

Recensione apparsa su SCENA, anno V n 9/10 - novembre 1980.