Luca D. Majer
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For How Much Longer Do We Tolerate Mass Murder (Rough Trade)

 

 

E' una gragnuola di colpi che ti colpisce da qualsiasi parte tu voglia avvicinare il disco.
Ci sono quattro posters - degeneri eredi dei settanta - scomposti e arruffati: una massa informe di ritagli, reports della polizia, "porco arrosto: è l'odore dell'uomo carbonizzato dal napalm", tristezza, bianco e nero, i Beatles, "Nixon e Kissinger dovrebbero essere processati per i bombardamenti segreti in Cambogia", Alien, gli Abba. Il concetto principe di questo inizio ottanta; la con/fusionedi quell'insieme di informazioni prodotte in maniera eccessiva, quasi narcisisticamente. Le si affastella senza ordine apparente, una sull'altra, mantenendo unicità solo nel taglio dato: che è poi l'ossessione per gli stermini di massa. C'è odio , non meglio indirizzato, incitamento all'azione, parole di fuoco. Il caos babelico.
La musica, da parte sua, fa quanto di meglio: dura, pesante, carbonica. C'è il ritmo, quello funky/reggae/punk/hard/etc./ Disco, perchè in fondo è musica nata dalle ceneri del consumismo del sabato by night, ma le trame prestabilitenella maggioranza dei casi limitano ad un paio d'accordi di chitarra, ripetuti ad libitum, ed un ostinato di basso, uguale/ripetitivo. Sopra regna incontrastata la cacofonia, il rumore duro e puro: si morsicano le ance di un sax e di un clarinetto, si strappano le corde alle vecchie Rickenbacker, si pesta con le ginocchia sulle tastiere. I timbri sono taglienti e rozzi, come i tempi sono svelti, non lasciano tregua. E' un rincorrersi di nevrosi, fibrillazioni, orgasmi.
C'è il pericolo di leggere il tutto come uno strascico radicale dei più dolci Sex Pistols, vedere nelle denunce di questi Pops accenni alle vecchie Anarchy o Holiday in the Sun, ma è un problema successivo. Fintanto che il vinile è sul piatto c'è solo il tentativo di sganciarsi dall'oppressione della musica, di salvarsi dalle grandinate di shrapnels, dalle sventagliate della voce e dalle snocciolate di chitarre. C'è qualche momento di respiro relativo, tipo Blind Faith (e quel piano ripetitivo non mi dispiace), ma il resto è il punk bottom, in prossimità dell'abisso dove punk e free music si dano la mano. Manca solo lo sganciamento da certi clichés "commerciali" come la pedissequa ripetizione di un certo ritmo, l'affidamento al pedale di basso come sostegno: poi sarebbe l'anarchia. Visto come stanno le cose è una fase, quest'ultima, più che possibile. Augurabile, anche.

 

(Da: "Musica 80", giugno 1980)