Luca D. Majer
Caffè  Musica  ed altro  
 
The Psycho Rockin'

Pubblicato su Musica '80, ago./sett. 1980

David Byrne & Talking Heads

 

(...) Talking Heads è molto rock., americano, anche. E moderno, pure. Quantomeno certamente economico, nel senso che un Fripp darebbe all'aggettivo: niente mastodontici apparati, organi diplodoco alle spalle, il minimo necessario. Come minimo è il line-up (chitarra/voce + tastiere; basso e batteria): si punta, e qui sta la modernità, alla redditività più che al profitto. Non interessa tanto il guadagno sul tutto, indiscriminato e vacillante, piuttosto un meccanismo privo di ruggine, concepito razionalmente per un mercato, come tanti altri, quello musicale. TH, creatura perfetta: unisce le sue cnquiste musicali, l'aver riscoperto la trama che fa saltare dalla sedia (Thank you for sending me an angel, non a caso all'inizio dell'albo del '78), a schizzi di estrogeni come Warning Sign, la chitarra mezzo scrdata di I'm not in love. Piace questo procedere per raggruppamenti successivi: si respira l'aria del rock, poi quella di Berkeley, l'alienazione diella Big Apple, il fumo della hawaian gold; il tutto facilmente memorizzabile. Ancora: vendibile.

La costruzione è millimetrica. Un'immagine studiata intelligentemente, con quella ricchezza tipicamente eighty, che anni fa, ai tempi delle copertine di Roger Dean, sarebbe persino parsa povertà di mezzi, di idee. Invece è l'economicità del progetto a vincere ancora. (...) E' Byrne a fare impazzire il pubblico: niente falli gonfiabili, mangiafuoco o virtuosismi, piuttosto il suo viso scavato alla Anthony Perkins, sguardo fuggitivio. E' figlio bastardo di Josef K. e del sosia di Dostoevskij, fugge nell'oscurità come una faina, evita il contatto. E canta strano. A scatti. Come la sua chitarra, strappi & accordi, ha inventato la nuova ritmica, dopo Berry e Keith Richard, così la sua voce è troppo fresca, resuscita il rock. Carica paranoide, incertezza, rozzezza, raffinatezza: per costruzione, morta la bella voce tipo Greg Lake, il tuttotondo dei vari Jon Anderson, si ristabilisce il rapporto originale con l'unico strumento realmente naturale. Ed è nella maggioranza dei casi il ritmo a prevalere sulla nota: urlo-nella-melodia, dove la determinazione nel cantare ti porta a non farlo del tutto. Giustamente. (...)